I karosor di seguito presentati sono soltanto i pochi taxa sopravvissuti fino all’anno 0 Huk, quando sette noti maghi li intrappolarono insieme al fauthor Hoobridar nella dimensione specchio. Nel corso dell’Era Antica molti altri karosor non citati, come ad esempio le favonie, si sono estinti.
Come Butrem racconta, solitamente le creature hanno determinate forme e caratteristiche adattative in funzione delle loro necessità basilari e dell’habitat naturale. La forma originaria dei karosor invece è stata cambiata dal Male per mezzo della dea Ehrg.
Non vi sono né esemplari maschi, né femmine tra i karosor, bensì di terzo genere: si tratta di una particolare capacità di riproduzione asessuata che è tanto più prolifica tanto più essi sono riusciti a nutrirsi. I karosor sfruttano infatti il cibo ingerito oltre che per il proprio sostentamento, anche per la creazione di nuova prole. Inoltre, si adattano senza problemi a climi alquanto diversi.
In alcuni casi il cambiamento dalla forma originaria è stato minimo, in altri è più evidente. I karosor, anche se appartengono a specie diverse, sono molto cooperativi tra loro e non si predano mai a vicenda. Non c’è animale che non provi disagio dalla vicinanza di un karosor e, a tal proposito, c’è anche una questione chimica da considerare. I karosor difatti effondono intorno a sé un odore di morte altamente sgradevole all’olfatto animale e umano: questo contribuisce a provocare nervosismo e sensazioni di paura intense nelle potenziali prede.
Le creature karosor sono immuni all’invecchiamento e possono dunque sopravvivere nei secoli senza mai avere la necessità di riprodursi. Ciò nonostante, a maggior ragione per quel che riguarda gli esseri più piccoli e che presi singolarmente sarebbero relativamente deboli, la riproduzione è una pratica fondamentale per un’efficiente sopravvivenza di gruppo.
ATROCÈDA [n.f. / pl. invar.]: karosor simili a leopardi per morfologia e attitudini. Si differenziano molto nei colori, in quanto la loro pelliccia presenta una tonalità rosata con macchie nere. I loro occhi sono verdi accesi. Non si spostano mai troppo lontano dalle aree boschive perché generalmente si nascondono sugli alberi. Sono solitari e attaccano qualsiasi animale si muova nell’esteso territorio che occupano; mangiano il minimo indispensabile e tuttavia adorano uccidere e sventrare le loro prede. Ammassano quindi i corpi in cumuli per attirarne di nuove. Si tratta di una mutazione della specie Panthera pardus.
BÙDRIA [n.f. / pl. -drie]: karosor morfologicamente simili a iene. Consistono differenze con esse nel fatto che le budrie hanno zampe più robuste, tre lingue, oltre che nel fatto che dalla loro bocca esce in quantità abbondante della bava altamente corrosiva. Ogni contusione subita, inoltre, comporta un ispessimento cutaneo e muscolare che, a lungo andare, può rendere il loro corpo pressoché impenetrabile persino per le lame più affilate.
Le budrie attaccano in branco e non smettono mai di nutrirsi. La loro digestione infatti è talmente rapida che patiscono una fame persistente, la quale impedisce loro persino di dormire.
La peculiarità unica di questi esemplari orripilanti è l’auto-rigenerazione corporea. Ciò significa che dal ventre della carcassa di una budria appena uccisa può comporsi in pochi secondi una nuova budria, costituita da organi e tessuti nuovi, in seguito all’immediata trasformazione delle cellule del corpo appena trapassato. Una budria può rigenerarsi dai suoi stessi resti anche per più di una dozzina di volte. Il modo più efficace per uccidere definitivamente queste creature è dare loro fuoco. Si tratta di una mutazione della specie Crocuta crocuta.
COVOLTIVOTÒO [n.m. / pl. -toi]: karosor morfologicamente simili ad avvoltoi, ma di dimensioni colossali. Il loro corpo presenta un piumaggio nero e rossastro. La testa è spelacchiata e ossuta. Possono misurare fino a tre metri di altezza. Hanno un’apertura alare di quattro metri e delle protuberanze ossee lunghe e affilate che sporgono fuori dal corpo in corrispondenza delle ulne. Se ne avvalgono per trafiggere le loro prede, delle quali iniziano a nutrirsi soltanto dopo che il sangue ha cominciato a sgorgare dalle ferite.
Di norma i covoltivotoi attaccano solo durante il giorno. Non hanno preferenze particolari per quanto concerne l’alimentazione, ma sono più facilmente interessati a prede di dimensioni medio-grandi, come ad esempio gli esseri umani. Si tratta di una mutazione della specie Argentavis magnificens (animale estintosi nell'Era Antica).
CUBÀCO [n.m. / pl. -chi]: karosor morfologicamente simili a salmoni; possono misurare in lunghezza fino a sessanta centimetri. Sono di colore grigio rosato, con scaglie metalliche ruvide che possono creare vari problemi ai piccoli natanti di legno per quel che concerne il galleggiamento. L’aggressività di questi esseri è tale per cui possono accanirsi su un’imbarcazione urtandola o addentando il legno fino a creare in essa delle grosse falle. Si nutrono voracemente di altri pesci, compresi quelli di stazza superiore alla loro. Si accaniscono però pure su ogni tipo di creatura terrestre che osi invadere l’areale acquatico. Prediligono le acque dolci, ma alcuni esemplari possono trovarsi anche nei mari. Si tratta di una mutazione della specie Oncorhynchus tshawytscha.
DADALIÙBA [n.f. / pl. -be]: karosor morfologicamente simili a coccodrilli. Prediligono le aree paludose, ma possono essere presenti anche in laghi, fiumi e addirittura nelle fasce costiere marittime. La trasformazione ha reso questi rettili più agili, oltre che più grossi. Il loro busto è più arcuato di quello dell’animale originale ideato da Elg e le zampe artigliate possono consentire loro di afferrare gli oggetti e di arrampicarsi sugli alberi più bassi o sugli scafi delle navi. Si tratta di una mutazione della specie Crocodylus intermedius.
ERMOLÉNA [n.f. / pl. -ne]: karosor morfologicamente simili a cinghiali, ma molto diversificati dalle trasformazioni di Ehrg. Sono forniti infatti di una piccola proboscide (vagamente simile a quella dei tapiri) dentata, con cui colpiscono, mordono, masticano e ingoiano le loro prede. Il loro corto e ruvido pelo di colore beige serve anche a nascondere le innumerevoli e minute spine di cui sono provvisti abbondantemente su tutto il corpo. Con esse possono procurare gravi ferite e, pur avendo anche una funzione difensiva, il più delle volte le impiegano come arma d’attacco: si rotolano addosso alla preda, infilzandola e schiacciandola col proprio peso. Le ermolene hanno inoltre lunghe code sottili da cui possono espellere un acido in grado di lesionare orribilmente le prede stesse, liquefacendo le loro ossa e agevolando così la loro successiva ingestione mediante la proboscide. Si tratta di una mutazione della specie Sus scrofa.
GHIÀRA [n.f. / pl. -re]: karosor acquatici molto simili morfologicamente alle murene. A differenza di queste ultime però, le ghiare sono decisamente più aggressive; i loro morsi possono essere assai pericolosi per ogni sorta di animale, terrestre o non, che si aggiri in acque basse o comunque sui fondali marini da esse popolati. Tra le prede preferite delle ghiare figurano anche gli squali. Si tratta di una mutazione della famiglia Muraenidae.
HOOBRIDÀR (121 PM): è l’unica delle creature fauthor che verso la fine dell’Era Antica riuscì a fuggire dalle inospitali Lande Glaciali col sussidio del potente mago Emean e della demone Uhnn. Le Cronache butremiche raccontano che Hoobridar giunse in Obridania nell’ultimo quinquennio dell’Era Antica. In breve tempo si capacitò di calamitare intorno a sé tutti quei karosor ancora viventi che fino a quel momento erano rimasti sparpagliati in Elolbia. Nell’anno 0 Huk sia lui che i karosor furono imprigionati nella dimensione specchio dai celebri sette maghi dell’incantesimo (Brumonte, Butrem, Milarella, Castanio, Bellobed, Huldoas e Odeasia).
Com’è tipico dei fauthor, Hoobridar ha un corpo umanoide, slanciato, con una statura quasi doppia rispetto a quella di un essere umano comune. Originariamente la cute, senza peluria, era di color rosso carminio; divenne totalmente nera come l’inchiostro e in parte evanescente da quando il Male, nell’Era Antica (ai tempi di Mulgaha), trasformò i fauthor in esseri capaci di instaurare intorno a sé strati di nuvole cineree, impenetrabili alla luce del sole.
Hoobridar non fu più in grado di creare in maniera soddisfacente questa barriera da quando il suo vasto potere venne spartito con Borsian. Per tale motivo avrebbe viaggiato in Obridania esclusivamente nottetempo, rimanendo nascosto nell’ombra durante il dì.
Proprio come gli esseri umani, i fauthor sono bipedi; adoperano gli arti inferiori per spostarsi e quello superiore sinistro, provvisto di sette dita, per afferrare gli oggetti. In origine, anche il braccio destro era del tutto uguale a quello sinistro. Si verificò una radicale mutazione quando divennero malvagi. All’estremità dell’arto destro, al posto della mano, nei fauthor si sviluppò una spaventosa testa di kadliro, come voluto da Uls, la quale avrebbe avuto il controllo motorio dell’intero braccio. Essa non avrebbe avuto la funzione di offrire nutrimento al fauthor, ma avrebbe comunque potuto azzannare e dilaniare le prede che si trovavano per l’appunto alla portata del suo braccio.
Anatomicamente i fauthor sono diversi da qualsiasi altro animale non soltanto perché sono incapaci di riprodursi, ma anche perché non necessitano né di un apparato digerente, né di un apparato respiratorio. Infatti non si nutrono, né bevono. Non solo, la cute di questi esseri biformi riveste uno strato osseo spessissimo che raggiunge un grado di durezza pari a quello del quarzo.
Hanno un cranio allungato verso l’alto con grosse orecchie che captano anche suoni estremamente distanti. Possiedono due occhi piatti che ricordano quelli delle mosche e che nel buio si illuminano di giallo. Sono privi di bocca e comunicano mediante l’emissione rumorosa d’aria dai fori del piccolo naso, il quale ha quest’esclusiva funzione.
Non nutrendosi di nulla, i fauthor furono creati alla nascita con un’energia che avrebbe dovuto alimentare i loro poteri fino al mortale esaurimento, comunque previsto molto più tardi rispetto al momento in cui Ehphor avrebbe dovuto ucciderli con la ricomparsa del sole in Elolbia. Quest’energia, il mana, avrebbe permesso ai fauthor di sterminare agevolmente i karosor ancora viventi. Era il medesimo mana (potere magico di origine divina o maligna) che successivamente avrebbe trasformato alcuni uomini in maghi, quantunque fosse stato ripartito a ciascuno di essi in maniera più ridotta. Quando i fauthor divennero malvagi, la fonte del loro potere iniziò a derivare dal Male stesso e le loro capacità si amplificarono al punto tale che si assicurarono una sopravvivenza illimitata.
Come gli altri suoi simili, anche Hoobridar non è in grado di nuotare, e a causa della densità del suo corpo sprofonderebbe. Questa, oltre alla luce solare, potrebbe essere considerata dunque la sua più grande debolezza. In mare aperto non potrebbe evitare di inabissarsi e per lui non ci sarebbe più possibilità alcuna di riemergere in superficie con le proprie sole forze.
HÙRAR [n.m. / pl. invar.]: nome della bestia karosor che Hoobridar selezionò nell’ultimo quinquennio dell’Era Antica per farsi trasportare sul dorso e per velocizzare così i propri movimenti da un luogo all’altro di Obridania. Hurar è anche il nome della specie a cui appartiene (è l’ultimo esemplare rimasto), morfologicamente simile a un rinoceronte. È indiscutibilmente il karosor terrestre più spaventoso di tutti per mole, in quanto ha le stesse dimensioni di un grosso elefante. Raggiunge quasi le otto tonnellate di peso e tuttavia riesce comunque a muoversi a delle velocità impressionanti. Hurar presenta una pelliccia folta su tutto il corpo e due corna molto resistenti (il corno più grande supera il metro di lunghezza) sul muso, con cui può trafiggere in corsa le sue vittime. Quel che più però fa sobbalzare i cuori di chi riconosce la sua presenza nelle vicinanze è il mugghio poderoso che emette quando si prepara a caricare delle prede. Insolito è il fatto che fosse originariamente erbivoro e che nemmeno da karosor si nutra di carne. Attacca semplicemente per uccidere. Si tratta di una mutazione della specie (estinta nell’Era Antica) Coelodonta antiquitatis.
KADLÌRO [n.m. / pl. -ri]: karosor morfologicamente simili a lupi. Possiedono una mole maggiore di quella dei lupi comuni, il pelo grigio e nero, fauci agghiaccianti; tuttavia, la caratteristica che innanzitutto balza agli occhi è che sono tricefali, con pure tre occhi disposti a triangolo in ognuna delle tre teste. Attaccano in branco, ma anche singolarmente all’occorrenza. Si tratta di una mutazione della specie Canis lupus.
LÙRVA [n.f. / pl. -ve]: karosor morfologicamente simili a lepisme (note anche come “pesciolini d’argento”) e, in effetti, non si riscontrano variazioni di aspetto particolarmente significative, a eccezione delle dimensioni leggermente superiori per quel che concerne le lurve (possono misurare fino a 15 cm di lunghezza). Seppure non siano annoverate tra i karosor più pericolosi, sono lo stesso aggressive anche contro gli esseri umani; inoltre, poiché sono solite infestare tenacemente gli edifici urbani, sono decisamente temute.
Le scaglie di colore argenteo che ricoprono il corpo delle lurve sono particolarmente solide e ciò garantisce loro una notevole resistenza fisica. Ad esempio, riescono a sopravvivere anche se vengono pestate sotto le suole delle scarpe. Non sono in grado di volare e, a dispetto della loro celerità, l’uomo è comunque capace di difendersi dagli attacchi di questi esseri se ne riscontra anticipatamente la presenza in un ambiente luminoso. La situazione più temuta si verifica però nelle ore notturne, quando il sonno e il buio lo rendono ovviamente più vulnerabile ai loro attacchi.
Le armi offensive delle lurve sono le antenne e le cerci, le quali hanno un effetto estremamente urticante se vengono a contatto con la cute dei vertebrati. La molteplicità di tali contatti può comportare paralisi motorie e attacchi di cuore letali in chi li subisce. Le lurve si nutrono perlopiù di insetti terrestri, ma non disdegnano nemmeno i corpi inerti degli animali più grossi. Sono una piaga per gli allevatori, poiché sono solitamente responsabili della morte del loro bestiame. Si tratta di una mutazione della specie Lepisma saccharina.
MENÒPTA [n.f. / pl. -pte]: karosor morfologicamente simili a formiche. Le loro dimensioni possono raggiungere i dieci centimetri di lunghezza. Costruiscono formicai rotondeggianti e alti fino a tre metri. Si nutrono di qualsiasi animale vivente si aggiri nei dintorni del loro formicaio.
Di solito solo una decina di menopte si muove nei luoghi a esso prossimali e il loro scopo non è propriamente quello di cacciare, bensì di vigilare. Qualora dovessero rintracciare un’eventuale preda, non l’attaccherebbero, ma andrebbero immediatamente a informare le altre menopte presenti nel formicaio. La preda potrebbe ritenersi salva se impedisse anche a una sola delle menopte di pattuglia di riuscire a penetrare nel formicaio. In caso contrario, le altre menopte presenti nel nido, appena recepita l’informazione relativa alla sua presenza, usciranno subito fuori in massa e l’attaccheranno per divorarla fino a non lasciare più neanche un solo residuo di ossa. Le menopte possono raggiungere una velocità di movimento pari a cinquanta chilometri all’ora ciascuna, ma non la mantengono per grandi distanze. A lungo andare, se si ha un buon vantaggio iniziale su di loro si potrebbe riuscire a seminarle. Si tratta di una mutazione della famiglia Formicidae.
MERSÀCCHIO [n.m. / pl. -chi]: karosor morfologicamente simili ad aquile, ma molto più grossi, con un’apertura alare superiore a tre metri e mezzo e un becco adunco più pronunciato. Il loro piumaggio è grigio in testa e nero con ticchiolature gialle nel resto del corpo. Si nutrono di qualsiasi mammifero, rettile o uccello avvistino (e l’uomo non è un’eccezione).
I mersacchi hanno grinfie terrificanti per robustezza e dannosità. Con esse afferrano in volo le proprie prede e le trasportano con sé a diversi metri da terra, assicurandosi di ferirle per bene, soprattutto se si tratta di uccelli. Quindi le lasciano cadere da grandi altezze e, dopo lo schianto col suolo, tornano a riprenderle. Il processo continua finché le prede non diventano del tutto inerti. A quel punto vengono portate al nido per essere divorate. Si tratta di una mutazione della specie Aquila rapax.
MURICÒIDE [n.f. / pl. -di]: karosor morfologicamente simili a granchi. Sono grandi quanto il palmo di una mano e sono muniti di chele velenose. Si nutrono di cute e per farlo attaccano in massa. In questo modo riescono ad atterrare anche gli esseri umani e a divorarne la pelle.
Le muricoidi sono piuttosto rapide nei movimenti via terra; ciò nonostante, per avvelenare una preda mammifera con le chele, tendono ad attirarla prima in una trappola. Si nascondono dentro alle carcasse sbudellate di pesci, squali o cetacei e aspettano che la preda si avvicini a essi quanto basti; all’improvviso saltano fuori e l’aggrediscono allo scopo di avvelenarla. Appena la sostanza tossica è in circolo nel sangue, la preda accusa giramenti di testa e può facilmente perdere i sensi. Dunque, le muricoidi si cibano della sua pelle. Il veleno è tossico e può essere mortale, ma esistono comunque antidoti efficaci in grado di neutralizzarlo. Si tratta di una mutazione della famiglia Grapsidae.
OCPORÙK [n.m. / pl. invar.]: karosor imparentati con i polpi. Sono considerati insieme con le favonie (karosor anch’esse, ma estinte durante l’Era Antica) le peggiori piaghe dei mari.
Gli ocporuk sono di colore variabile tra il nero e il viola scuro e questo ha un suo particolare perché. La differenza cromatica è infatti direttamente correlata con le dimensioni: gli esemplari più piccoli, che possono accrescere ulteriormente la propria mole a seconda di quanta carne ingurgiteranno poi, sono di colore nero e possono essere lunghi in misura minima un metro e mezzo. Quelli già abbondantemente sviluppati sono invece di colore violaceo e possono misurare in lunghezza fino a quindici metri. Le analogie morfologiche con i polpi rimangono evidenti, ma gli ocporuk sono indiscutibilmente più aggressivi e pericolosi per qualsiasi specie animale, acquatica o terrestre.
Seppure si nutrano principalmente di vari pesci, squali e delfini, gli ocporuk adorano stare in prossimità delle coste per attaccare le prede terrestri, che qui vivono o si immergono nelle acque marine. Sulla terraferma possono spingersi fino a duecento metri lontano dalla battigia. Non hanno perciò problemi di respirazione sia dentro che fuori dall’acqua. Possono uscire dall’acqua con una velocità formidabile e muoversi su qualsiasi superficie adoperando i tentacoli.
Avvalendosi del proprio peso corporeo, gli ocporuk travolgono la preda con un balzo e già questo a volte può essere sufficiente a ucciderla. In ogni caso però la stritolano, sempre utilizzando i tentacoli. Poiché l’animale terrestre predato potrebbe essere capace di ferire l’ocporuk qualora rimanesse nel suo areale di vita, l’intento del karosor risulta essere quello di trascinarlo in acqua alle più alte profondità e solo qui, facendolo affogare, di solito inizia a nutrirsene. Ocporuk di grandi dimensioni possono attaccare facilmente anche un orso ed eliminare persino animali giganteschi come le balene.
Un’arma d’attacco molto sfruttata da questi karosor è l’inchiostro che possono secernere. Il contatto con esso ha un effetto altamente nocivo sulle creature animali: lesiona la vista, atrofizza i muscoli e fa perdere i sensi anche in maniera fatale.
L’ocporuk è una mutazione del genere Enteroctopus.
OMINÀCCIO [n.m. / pl. -ci]: karosor morfologicamente simili a scimmie. Le loro sembianze ricordano molto quelle umane, con braccia e gambe lunghe e assai sottili, nonché teste sproporzionatamente piccole. Hanno il corpo totalmente avvolto da un pelo scuro, piuttosto corto e molto sottile, eccetto sul dorso dove risulta assente. Sono bipedi, ma possono comunque servirsi delle zampe posteriori per afferrare gli oggetti. A proposito della loro statura, gli ominacci possono raggiungere il metro e settanta di altezza. Sono relativamente leggeri e questo consente loro non solo di muoversi con impressionante agilità, ma anche di eseguire balzi formidabili. Saltellano in continuazione quando si trovano in prossimità di una preda: lo fanno per intimorirla e al tempo stesso per accerchiarla.
Vivono tipicamente in aree montuose, in caverne o grotte, e vengono allo scoperto solo per cercare cibo o per riprodursi. Si avvalgono di ossa lunghe e robuste, o di bastoni, per ferire mortalmente le proprie prede.
Gli ominacci sono considerati il terrore delle montagne, in quanto sono decisamente silenziosi e pazienti. Spesso attaccano dall’alto, gettandosi violentemente su una preda che cammina lungo un sentiero ai piedi di una parete rocciosa. Butrem racconta che, pur essendo ex-mammiferi, Ehrg trasformò radicalmente la loro natura riproduttiva e difatti depongono uova. Da principio queste sono piccole e nere, del tutto confondibili con i loro escrementi, motivo per cui chi vorrebbe distruggerle stenta a riconoscerle. Sono deposte in luoghi dove può penetrare la luce solare ed è proprio sfruttando il suo calore che il guscio progressivamente si accresce. Il calore fa schiudere il guscio, che tuttavia si riforma in dimensioni sempre maggiori tramite la solidificazione istantanea di un liquido nero internamente contenuto, il quale straripa dalle fessure createsi. A lungo andare, con il ripetersi di questo processo, le uova arrivano ad avere dimensioni gigantesche. Nel periodo estivo possono essere sufficienti circa tre giorni per completare l’intero processo e, durante la notte successiva, quando l’accrescimento è interrotto per mancanza di calore solare, l’ominaccio nasce. Stavolta è lui a rompere il guscio in maniera definitiva. L’esemplare che ne esce è già autosufficiente e maturo sotto ogni punto di vista. Quella degli ominacci è una mutazione del genere Pan.
ÒRSTAK [n.m. / pl. invar.]: non sono propriamente creature uscite dalla dimensione specchio, in quanto non furono imprigionate dall’incantesimo dei sette maghi. Gli orstak sono stati ugualmente inclusi in questo elenco poiché la loro comparsa in Elolbia è avvenuta in concomitanza con la rottura dello Specchio degli Indomiti, nel V secolo dell’Era Nuova. È un’origine che ha direttamente a che vedere con la famigerata “sostanza maligna”.
Gli orstak erano uomini (ma pure cani, cavalli e alcuni animali selvatici), che sono stati infettati e trasformati dalla sostanza maligna ritrovabile presso il Palazzo dei Sette nel periodo che va dall’incrinatura dell’incantesimo avvenuta nel 280 Huk a opera del mago Nerodore, fino alla definitiva rottura dello Specchio degli Indomiti del 406 Huk.
La magia che teneva sconnessa la dimensione specchio da quella elolbiana aveva cominciato a mostrare segni di cedimento già dopo il 280 Huk. Da allora, l’ambiente tutt’intorno al palazzo (presso il quale si trovava Hoobridar) cominciò ad avvizzire, oppresso da una malvagità rabbiosa che straripava proprio nella dimensione elolbiana. Molti di coloro che furono incuriositi dagli strani accadimenti in atto presso quella torre sprofondarono in bagni di melma putrescente: una melma impregnata per l’appunto di sostanza maligna. Essa non li uccise, ma li seppellì vivi. Furono quindi trasformati geneticamente in creature orstak, alle quali solo un mago avrebbe potuto restituire l’originaria forma.
Per quel che riguarda gli orstak di natura umana, le dimensioni corporee sono rimaste pressoché immutate. Tuttavia sono stati dotati dal Male di una forza fisica superiore rispetto a quella che avevano in precedenza e a esso sono totalmente devoti. Non hanno alcuna peluria sul corpo. La pelle è assottigliata e varia di tonalità da un grigio pallido a un nero catrame, a seconda di quanta sostanza maligna si sia riversata su di loro. Le ossa di un orstak sono in più punti doppiamente spesse e in rilievo. In testa è possibile riconoscere delle piccole corna in punti differenti da individuo a individuo: le adoperano per ferire violentemente le prede prendendole a testate. Il collo è corto, ma robusto. I loro occhi sono bianchi con iridi rombiche e allungate, di vario colore; il naso è schiacciato; i denti sono giallastri, sporgenti e minacciosi.
Se possono, gli orstak tendono a coprirsi con indumenti e a adoperare armi per attaccare le loro prede. Questi individui possono trasmettere malattie come ad esempio la lebbra.
Gli orstak più corrotti dalla sostanza maligna non hanno bisogno di cibarsi di niente perché il Male stesso esercita su di loro un’influenza così grande da provvedere pure al loro completo sostentamento energetico. Quelli meno infetti, che hanno la cute più pallida, si nutrono invece di tutto ciò che vive nel sottosuolo, nella fattispecie di radici. Non disprezzano nemmeno la carne animale, compresa quella umana, e nondimeno non se ne cibano subito. Innanzitutto fanno a pezzi la vittima, disossandola. Successivamente tengono immersa la carne in acqua (all’interno di rudimentali recipienti) per almeno un’ora, impreziosendone il sapore con erbacce e radici. Dopodiché, la estraggono dall’acqua e la cospargono di lignite o torba. Infine la sotterrano e, trascorsi un paio di giorni, la disseppelliscono per nutrirsene.
PÒRROLO [n.m. / pl. -li]: karosor morfologicamente simili a ratti. Hanno un corpo slanciato, orecchie e denti grandi, una coda cilindro-conica, ma anche zampe lunghe e sottili che adoperano per scavare buche nei boschi. Queste ultime vengono celate in superficie con fitte coperture di foglie secche o filamenti vegetali. La preda che calpesta tali trappole finisce per sprofondare in una fossa (che può essere larga anche un metro e profonda tre) dove una colonia di questi roditori accalcati al suo interno non le lascia scampo. I porroli rosicchiano innanzitutto gli occhi e il collo della preda (anche la lingua qualora avesse la bocca aperta per urlare); ma il vero punto di forza di questi mostri è il gioco di squadra: ne spuntano fuori dalla trappola in un numero così alto che persino l’energia di una preda che ha una massa corporea di mezzo quintale risulta spesso insufficiente. Ogni morso è estremamente doloroso e può penetrare nel corpo fino a rodere le ossa. La velocità con cui i porroli divorano la carne delle loro prede è spesso tale per cui, nel giro di un minuto, queste perdono i sensi e la vita. Si tratta di una mutazione del genere Rattus.
PULINÈRMA [n.f. / pl. -me]: karosor morfologicamente simili a cavallette. Grandi fino a una decina di centimetri, possono librarsi in aria fino a trecento metri dal suolo. Hanno antenne lunghe e ricciolute; gli occhi sono piccoli e sporgenti. Sono esseri divoratori di carne animale e di vegetali. Attaccano in massa in sciami che possono contenere alle volte migliaia di esemplari. Sono di colore giallo e bruno. Posseggono zampe munite di appigli aguzzi tali per cui, quando aggrediscono una preda, possono avvinghiarsi a essa molto tenacemente, come se fossero zecche. L’unico modo per levarsi di dosso le pulinerme è disancorare i loro appigli e nondimeno risulta doloroso e complesso. D’altro lato, conviene farlo il prima possibile perché i motivi per cui questi karosor si avvinghiano con tanta pertinacia sono: succhiare il sangue e, al tempo stesso, divorare la carne che hanno a disposizione con i loro piccoli denti.
Le pulinerme si riproducono molto rapidamente (diventano adulte dopo i 30 o 40 giorni dello stadio larvale) e scelgono posti caldi e riparati per deporre le loro uova. Frequentemente si annidano in granai o pagliai per questo scopo. La loro presenza è ben riconoscibile sensorialmente a livello uditivo, poiché producono un forte rumore col battito d’ali. Si tratta di una mutazione del sottordine Caelifera.
RODIGÈA [n.f. / pl. -ee]: karosor morfologicamente simili a delle sanguisughe. Per forma e dimensioni sono facilmente confondibili con le sanguisughe della specie Hirudinaria manillensis, da cui sono mutate. Si differenziano tuttavia per la loro pericolosità, in quanto possono iniettare nelle prede una sostanza che ne inibisce i movimenti, provocando una paralisi totale degli arti che può protrarsi per diverse ore. In questo modo, pur essendo coscienti, gli uomini o gli animali che vengono morsi dalle rodigee, se non vengono tratti in salvo per tempo, possono morire dissanguati, siccome a questi karosor piace nutrirsi del sangue quando è ancora caldo. Le rodigee infestano tipicamente le aree paludose e i corsi d’acqua.
SAURÒNTE [n.m. / pl. -ti]: karosor morfologicamente simili a serpenti di medie dimensioni. La loro livrea è camaleontica e si nascondono nella vegetazione (specialmente sotto le foglie, o nell’erba alta) nell’attesa che passi una preda. Mordono qualsiasi creatura avvistino, ignorandone le dimensioni e ovviamente sono esseri velenosi. Dopo aver inferto un attacco, all’apparenza i sauronti battono in ritirata, ma in realtà si mettono solo al riparo temporaneamente dalla reazione esagitata delle loro prede. Attendono che il veleno faccia effetto e che la creatura si accasci al suolo inerte. Infine, si tornano ad avvicinare a essa. Si nutrono degli organi interni, penetrando con l’intero corpo attraverso la cavità orale della preda. Non esiste alcun antidoto efficace contro il veleno di un sauronte.
Secondo Butrem si tratta di una mutazione del cosiddetto “serpente del latte” (Lampropeltis triangulum), ma non tutti la pensano allo stesso modo. Ad esempio, a detta della demone Uhrifia, si tratterebbe di una palese mutazione del “mamba nero” (Dendroaspis polylepis).
STRIDÈIDE [n.m. / pl. -di]: karosor morfologicamente simili in ogni caratteristica a pipistrelli. Mentre volano spruzzano a comando getti di urina molto calda e acida. Il vapore che essa produce è urticante per gli occhi e può comportare cecità anche nell’uomo. Il loro morso è doloroso e mortalmente velenoso. Gli strideidi si nutrono soprattutto di insetti e di mammiferi di dimensioni medio-piccole.
Si tratta di una mutazione della specie Pteropus conspicillatus.
TANATÀRLO [n.m. / pl. -li]: roditori karosor dal corpo tozzo e robusto. Hanno una coda a spatola, in parte ricoperta da squame. Vivono in ambienti palustri o a ridosso di fiumi e torrenti, laddove scavano tane sotterranee e, usando schegge e trucioli di legno rosicchiati con i forti incisivi, costruiscono dighe. I tanatarli restano nascosti nelle loro tane, dove aspettano pazientemente che si avvicinino animali assetati verso la loro diga. A questo punto, sbucano fuori di soprassalto e li aggrediscono. Si nutrono quasi sempre di prede più piccole dell’uomo. Si tratta di una mutazione della specie Castor fiber.
TELÀSTRO [n.m. / pl. -stri]: aracnidi karosor che si sono sviluppati notevolmente in dimensioni: possono misurare fino a 40 cm in lunghezza. Non si muovono quasi mai via terra; restano in paziente attesa nelle loro gigantesche ragnatele, finché quella che diventerà la loro preda non vi rimane intrappolata. Tali ragnatele sono composte da una sostanza molto appiccicosa.
I telastri dispongono di un pungiglione col quale ammansiscono le loro prede, siccome iniettano nel sangue un veleno che sopisce le loro capacità muscolari. Dopodiché, cominciano a nutrirsi di carne e ossa. I telastri vivono in una sorta di simbiosi con gli urdakot. Si tratta di una mutazione del sottordine Opisthothelae.
TÙBA-TÙBA [n.m. / pl. invar.]: microscopici karosor di tipo endoparassitario, in merito ai quali non si è mai chiarito se fossero in origine tenie, o pulci, o entrambe le cose. È noto però che Ehrg dotò questi esseri di ali e ne alterò la natura radicalmente. Il loro ciclo di vita si suddivide in: stadio larvale, stadio attivo e stadio divorante.
Nello stadio attivo i tuba-tuba hanno dimensioni molto ridotte. Raggiungono il mezzo millimetro di grandezza al massimo e si fanno solitamente trasportare dal vento con l’ausilio delle loro ali. Attraverso bocca o naso, penetrano nelle vie respiratorie o in quelle di digestione delle creature viventi. A seconda di quest’ultima distinzione, si possono avere tuba-tuba di tipo ventrale e di tipo cerebrale.
Quelli che passano per le vie respiratorie si insinuano fino al cervello e qui, nel giro di una manciata di minuti, depositeranno centinaia di larve, le quali inizieranno subito a nutrirsi di tutto quel che il cranio contiene. Nonostante le larve abbiano dimensioni ben più ridotte rispetto ai tuba-tuba di stadio attivo, si ingigantiscono a una velocità incredibile. Infatti, lo stadio larvale dura soltanto pochissimi minuti. Sia il tuba-tuba infettante che le sue larve, come cominciano a nutrirsi del cervello della vittima, entrano nello stadio vitale divorante.
Se questo è il caso dei tuba-tuba di tipo cerebrale, i tuba-tuba ventrali non sono da meno. Sopravvivono al processo di digestione della preda, resistendo quanto basta per non essere disintegrati dai succhi gastrici. Quindi, riescono a rilasciare le loro larve nell’intestino tenue dove si accresceranno in dimensioni proprio nutrendosi di intestini tenue e crasso.
Quella sopportata da chi è vittima di questi karosor è una tortura relativamente lenta, dolorosa e fatale in ambedue i casi. I danni sono progressivi perché un numero sempre maggiore di questi mostriciattoli nasce e si sviluppa nel corpo dell’ospite, rosicchiandolo dall’interno. In particolare, con i più frequenti tuba-tuba cerebrali, oltre a vuoti di memoria, fitte acute, nausea e vomito, chi ne soffre dovrà fare i conti anche con crisi di identità e convulsioni, rimettendoci la vita nel giro di ben poche ore. Nello stadio divorante, i tuba-tuba (che, a differenza delle pulci, sono vermiformi) si sviluppano in dimensioni fino a misurare persino sette centimetri di lunghezza e, una volta che il corpo dell’ospite muore, mettono al mondo nuova prole (stavolta di stadio attivo), che avrà il compito di andare a infestare nuove creature. Subito dopo essere costati la morte dell’ospite e dopo essersi riprodotti, gli esemplari presenti allo stadio divorante cessano di vivere perché il ciclo riparte esclusivamente dagli esemplari di stadio attivo.
La classificazione tassonomica dei tuba-tuba è incertae sedis poiché non si sa se si tratti di una mutazione dell'ordine Siphonaptera, o del genere Taenia, o se, in terza ipotesi, abbiano avuto un ruolo effettivo nella trasformazione in esseri karosor ambedue i taxa nominati.
Contrariamente all’opinione espressa da Butrem, c’è chi ritiene credibile che il caso dei tuba-tuba comprovi il fatto che i karosor in origine non fossero degli esseri viventi creati da Elg, bensì esseri generati da zero, probabilmente da Ehrg, nella forma mostruosa che hanno sempre mantenuto.
ÙRDAKOT [n.m. / pl. -invar.]: karosor morfologicamente simili a comuni zanzare. Alcuni esemplari di urdakot si spingono lontano anche un chilometro da dove è situato il nido. Il loro scopo è innanzitutto quello di iniettare nel sangue della preda viva una sostanza allucinogena, che la indurrà a seguirli esattamente fino a un luogo designato. Le allucinazioni possono provocare, in modi differenti, un forte coinvolgimento emotivo nella preda. Quest’ultima insegue letteralmente alcune illusorie figure (crede di vederle profilarsi in lontananza). Non si accorge però che, così facendo, sta cadendo in una trappola. Lo stordimento allucinogeno è tale per cui non capisce nemmeno di finire avvinghiata in una gigantesca ragnatela realizzata da telastri. A questo punto la preda è ormai spacciata: ogni suo muscolo viene immobilizzato da una tossina contenuta nel veleno dei telastri, i quali provvedono a sopprimerla a poco a poco, mentre è ancora cosciente. Frattanto che i ragni karosor ne divorano carne e ossa, gli urdakot sopraggiungono in massa esclusivamente per nutrirsi di sangue. Si tratta di una mutazione della famiglia Culicidae.
ZÙHR [n.m. / pl. invar.]: (a volte il termine è usato anche come aggettivo: creature zuhr) karosor morfologicamente simili a orsi giganteschi. Sono completamente ricoperti di pelliccia ed essa varia in colore dal bruno al nero. Hanno un muso molto pronunciato con i canini inferiori che sporgono infuori leggermente, mentre quelli superiori, a sciabola, possono misurare fino a mezzo metro di lunghezza. Adoperano questi ultimi per addentare e trafiggere le prede spietatamente. Dispongono poi di un collo robusto e di arti relativamente corti, con dita armate di unghie arcuate. Non presentano alcuna coda. Si muovono a quattro zampe, ma possono restare agevolmente in piedi su quelle posteriori e usare quelle anteriori come armi offensive. Gli zuhr hanno un olfatto molto sviluppato e possono fiutare una preda a chilometri di distanza. Le loro fauci sono tre volte più potenti di quelle di un orso grizzly e questo consente loro di divellere le ossa dalla carne della preda con un morso soltanto. Gli occhi sono invece poco sviluppati.
Gli zuhr sono karosor generalmente solitari, ma possono comunicare tra loro. Si tratta di una mutazione della sottospecie Ursus arctos horribilis.